Allarme della CGIL sui contratti a termine

La CGIL rileva che dal 2004 ad oggi l’incremento dei contratti a termine ha toccato quota 1 milione di unità, raggiungendo il livello di 2,8 milioni di lavoratori. Questo rappresenta un aspetto di aumento del precariato che si traduce in una minore sicurezza sociale dei lavoratori ma anche in una minore possibilità dei lavoratori in questa condizione di accesso a mutui e finanziamenti, quindi con ricadute negative non solo per i lavoratori stessi ma anche per l’economia più in generale.

Il 10 ottobre si celebrerà anche la giornata delle malattie mentali e in questo contesto occorre mettere in luce come un lavoro precario sia in una certa misura, anche rilevante, alla base dello sviluppo di sindromi depressive che fanno innanzitutto far stare male le persone che ne soffrono e i loro familiari ma che rappresentano anche il 25% del numero totale di giornate lavorative perse e un calo significativo della produttività personale nell’ambito lavorativo.

La Fondazione Di Vittorio stima in 900 mila in meno i lavoratori autonomi, sempre riferiti al 2004 e un decremento delle ore lavorate del 5,8%. All’incremento occupazionale certificato dall’Istat non corrisponde un incremento delle ore lavorate.

Questo significa semplicemente che l’incremento occupazionale è molto relativo, si contano più contratti, è vero ma l’occupazione reale in termini di ore lavorate non cambia e questo significa che non c’è maggiore introito fiscale e contributivo, è come se l’incremento occupazionale non fosse avvenuto, a livello di economia nazionale, nessun effetto positivo sullo sviluppo come dovrebbe essere in una situazione di aumento dell’occupazione.